L'agguato scatta alle 8,30 del
25 settembre 1979, in via De Amicis, una parallela di via Marchese di Villabianca in zona
residenziale, a Palermo. Questa volta, a cadere sotto il piombo degli squadroni della
morte di Cosa Nostra è il giudice Cesare Terranova e la sua guardia del corpo, il
maresciallo di polizia Lenin Mancuso. Terranova è reduce da una parentesi politica durata
due legislature, eletto nelle file del Pci. Da appena una settimana aveva fatto ritorno
nella sua città, riprendendo la toga come presidente della seconda sezione di Corte
d'Appello.
Una periodo lungo, quello trascorso a Roma sui banchi del parlamento; e, tuttavia, senza
dimenticare il suo idea fissa: quella della mafia.
Protagonista delle prime, delicate inchieste sui "corleonesi", Terranova
intuisce che mafia è una parola troppo generica, che vuol dire tutto e niente; capisce
che l'organizzazione criminale ha una struttura complessa, verticistica, e che agisce
secondo una dislocazione territoriale. Così istruisce il primo, vero processo alle cosche
mafiose, mandando alla sbarra oltre un centinaio di uomini d'onore. Le sue intuizioni sono
troppo avanti nel tempo e i colleghi del Tribunale non concordano pienamente con le sue
"ardite" costruzioni investigative.
Anche a Roma, in parlamento, porta le sue idee; suo - insieme a quello di Pio La Torre -
è un determinante contributo nella stesura della Relazione di Minoranza dei partiti di
sinistra. Ma a Terranova tutto questo no basta, vuole tornare a lavorare sul campo. Torna
a Palermo da magistrato ed è ormai pronto a concorrere per la poltrona di consigliere
istruttore. Lo fermano col piombo, davanti porta di casa.
La prima fase delle indagini venne coordinata dal sostituto procuratore Giusto
Sciacchitano, che lavora su tre ipotesi: vendetta maturata tra le pieghe degli
innumerevoli processi di mafia che egli aveva istruito; delitto "preventivo" con
il quale si è voluto eliminare un avversario tornato ad essere vicino e pericolosamente
scomodo; delitto di stampo terroristico-mafioso, che colpisce un uomo-simbolo della lotta
alla criminalità organizzata.
Alla sbarra, accusato di essere mandante dell'omicidio, viene subito spedito Luciano
Leggio. Il processo si celebra a Reggio Calabria. Leggio venne assolto in primo grado
nell'83; in appello, il 22 luglio di tre anni dopo, ancora assoluzione per insufficienza
di prove. Terranova e Mancuso aspettano ancora giustizia
Giuseppe Martorana e Angelo Meli

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