Il 12 marzo 1992, intorno alle 9.30, giungeva al
"113" della Questura di Palermo una concitata segnalazione con la quale si
riferiva che in via delle Palme, a Mondello - nota località balneare nelle immediate
vicinanze della città di Palermo - era stato commesso un omicidio.
Giungeva subito sul posto una "volante" di Polizia che, individuato il cadavere
di una persona distesa sul marciapiede e immersa in una enorme pozza di sangue,
immediatamente lo identificata per l'on. Salvo Lima, deputato al Parlamento Europeo e
leader della corrente andreottiana in Sicilia.
Sul posto, gli agenti di Polizia venivano avvicinati dalle due persone che accompagnavano
l'europarlamentare in auto al momento dell'agguato, ancora in evidente stato di choc: il
prof. Alfredo Li Vecchi ed il dott. Leonardo Liggio, entrambi esponenti di area
andreottiana della DC palermitana. Con il contributo dei due testi oculari, veniva operata
una prima ricostruzione della dinamica dell'agguato.
Quella mattina i due amici erano andati a prelevare Lima presso la sua villa di Mondello,
per accompagnarlo al Palace Hotel, un grande albergo della costa palermitana, presso cui
avrebbero dovuto organizzarsi i preparativi per la imminente visita dell'on. Andreotti, in
occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 e 5 aprile 1992.
Lima era sceso da casa ed era entrato nella vettura; dopo aver percorso un breve tragitto,
l'auto era però stata affiancata da una moto con due persone a bordo, una delle quali
aveva esploso diversi colpi di arma da fuoco contro il veicolo, inducendo l'autista a
frenare e ad accostare quasi subito; Lima aveva capito benissimo quanto stava accadendo e,
vedendo la moto fare inversione di marcia per tornare verso di loro, aveva gridato
"Stanno ritornando!", precipitandosi fuori dall'abitacolo in cerca di scampo. A
quel punto, anche gli altri due occupanti della vettura avevano fatto la stessa cosa,
avventurandosi in una breve corsa e trovando riparo dietro ad un cassonetto della
spazzatura; da quella posizione, atterriti dal panico, avevano potuto osservare la scena
dell'omicidio: uno dei killer era sceso dalla moto, aveva inseguito l'europarlamentare e
lo aveva colpito con alcuni colpi di pistola, sparandogli un colpo di grazia alla testa.
Agli inquirenti non restava ora che quel corpo crivellato dai proiettili e quello scarno
racconto, di poco arricchito dalla sintetica testimonianza di altri occasionali passanti.
Poco dopo, in una strada ubicata nei pressi della zona dell'agguato, sarebbe
stata rinvenuta una moto abbandonata con il motore ancora caldo, rubata nel 1989. Grazie
al contributo di altri testimoni, era frattanto possibile appurare che gli assassini a
bordo della motocicletta, una volta abbandonato il mezzo a due ruote, erano stati
prelevati da un'auto pronta a raccoglierli a bordo sul luogo convenuto per l'incontro.
La tecnica dell'agguato, la cronometrica abilità dei killer ed i particolari relativi
alla sua preparazione, emersi fin dalle prime battute delle indagini, erano chiaramente
riconducibili ad analoghi episodi delittuosi e portavano a individuare, subito e con
certezza, la matrice chiaramente mafiosa dell'omicidio. Ma perché Cosa Nostra aveva
deciso di uccidere Salvo Lima?
Nel corso del processo è stato possibile accertare che l'omicidio dell'europarlamentare
siciliano doveva costituiva l'inizio di una vera e propria "strategia del
terrore", deliberata dai vertici di Cosa Nostra non soltanto contro gli esponenti
delle istituzioni dello Stato che l'avevano tenacemente e irriducibilmente contrastata
(così sarebbe accaduto poco più tardi per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), ma anche
contro quegli altri soggetti del mondo politico che, dopo avere "usato" le
famiglie mafiose ed avere, comunque, convissuto con esse in un rapporto di
"scambio", le avevano "tradite", non essendo più in grado di
esercitare la tradizionale attività di copertura, e - comunque - di compiacente
connivenza che nel passato avevano invece assicurato. |