L'aveva annunciato al telefono una voce anonima e
irridente: "L'operazione Carlo Alberto è quasi conclusa
. quasi!". E gli
inquirenti avevano capito che quello stillicidio di morti ammazzati che in quei giorni
insanguinava le strade di Palermo, rientrava in un preciso disegno strategico. Era la mattanza degli uomini di Bontate e Inzerillo, che i
"corleonesi" avevano ironicamente ribattezzato "Operazione Carlo
Alberto". Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, muore con la giovane
moglie Emanuela Setti Carraro la sera del 3 settembre del 1982. Lo uccidono mentre a bordo
della sua utilitaria torna a casa dalla Prefettura, scortato a breve distanza da
un'Alfetta di servizio guidata dall'agente Domenico Russo.
Un gruppo di fuoco composto da una decina di sicari predispone un agguato che non lascia
scampo: in via Carini due auto, una Fiat 131 e una Bmw, stringono la vettura del prefetto
contro il marciapiede e sventagliano gli occupanti a colpi di kalashnikov. Altri si
occupano dell'agente Russo, che ha appena il tempo di estrarre la pistola d'ordinanza,
prima di cadere riverso, agonizzante sul volante della propria auto. I corpi martoriati del prefetto e della moglie vengono fatti segno di una
seconda ondata di fuoco da un secondo gruppo di killer, che passa in motocicletta. Ai
primi soccorritori si presenta una scena raccapricciante.
Via Carini ammutolisce e di colpo diventa un deserto: nonostante il caldo afoso inviti a
restare affacciati al balcone, nessuno ha visto, nessuno ha sentito. Balconi e finestre
sono e rimarranno chiusi. Chiusa non rimane la residenza del prefetto; mentre si consuma
la strage, la cassaforte di villa Pajno viene aperta e svuotata. L'episodio non verrà mai
chiarito.
Dalla Chiesa muore solo, in una città che solo lo aveva lasciato fin dal suo arrivo. Sul
luogo dell'eccidio, un anonimo cittadino lascia un cartello affisso al muro. Poche parole,
una frase che in breve fa il giro del mondo: "Qui è morta la speranza dei siciliani
onesti".
Pochi giorni dopo, durante le esequie, il cardinale di Palermo Pappalardo - rompendo il
silenzio della chiesa ufficiale sul problema-mafia - ha parole durissime: "Dum Romae
consulitur... Saguntum espugnatur. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di
Sagunto viene espugnata - tuona dal pulpito - E questa volta non è Sagunto, ma Palermo!
Povera Palermo nostra". E al
termine della messa, volano insulti e monete all'indirizzo dei rappresentanti dello Stato,
di ministri e deputati: la reazione spontanea di tanta gente stanca, che in quel prefetto
ex carabiniere aveva riposto le proprie speranze; che aveva apprezzato il fatto di poter
avere la patente in due settimane, quando prima occorrevano sei mesi; che aveva guardato
con fiducia a quest'uomo che andava ripetendo nelle scuole che i diritti non vanno
elemosinati ma vanno rivendicati.
E, tuttavia, ancora oggi, dopo inchieste, indagini e processi, resta da capire perché
Dalla Chiesa è stato ucciso; e perché è stata uccisa anche la moglie. Se lo chiedeva
anche Giovanni Falcone: "Nonostante avesse chiesto alcuni rapporti di polizia, alcuni
atti giudiziari, nonostante avesse cominciato ad incontrare studenti ed operai, la sua
attività non era entrata nel vivo - si chiedeva il magistrato - Perché allora è stato
ucciso? Perché rappresentava comunque un pericolo troppo grosso. Non ancora per
l'originalità e la quantità delle informazioni in suo possesso, ma per l'impronta
estremamente personalizzata e impegnativa che era stata data alla sua nomina a prefetto di
Palermo. Se si pensa che una delle motociclette utilizzate per il suo assassinio era stata
rubata nel giugno 1982 e che il mezzo dopo il furto, aveva percorso solo pochi chilometri
(in pratica la distanza necessaria per effettuare i controlli e verificare i percorsi
seguiti dal generale), si comprende che la decisione di eliminarlo era stata presa molto
rapidamente rispetto alla sua nomina, avvenuta cento giorni prima della sua morte. Dalla
Chiesa - aggiunge Falcone - era pericoloso perché aveva investito tutto il suo impegno e
la sua grande professionalità nella nuova carica e doveva quindi ad ogni costo ottenere
risultati significativi". Era pericoloso, probabilmente, anche perché depositario di
tanti, troppi segreti della nostra storia più recente. |