La prima guerra di Mafia

I primi anni Sessanta sono gli anni del "boom economico" e della ricostruzione; a Palermo, sono anche gli anni in cui la spregiudicatezza dei giovani che vogliono farsi largo in politica (Salvo Lima in testa a tutti), finisce per incontrasi con i progetti e le mire dei nuovi gangster metropolitani, impegnati a soppiantare il vecchio patriarcato mafioso.
Gaetano BadalamentiSono gli anni in cui i fratelli mafiosi Angelo e Salvatore La Barbera - originari della zona di Partanna Mondello, particolarmente legati a Rosario Riccobono che di quella zona era capo-mandamento - frequentato il prestigioso Circolo della Stampa, insieme a Tommaso Buscetta, ai fratelli Rosario ed Enzo Mancino, ai Greco, a Giacinto Mazzara soprannominato "Il Marchese", a Gioacchino Testa, a Enzo Savoca soprannominato "'u siddiato", ad Angelo Di Carlo soprannominato "il capitano", a Gioacchino Pennino.
In breve, Salvatore La Barbera diviene "capo mandamento" per le famiglie di Borgo Vecchio, Porta Nuova e Palermo centro; il secondo diventa capo della famiglia di Palermo centro.
Ben preso, i La Barbera - che si distinguono per i loro metodi sbrigativi e spregiudicati - erano entrano in aperto contrasto con i membri più anziani della "Commissione". Formalmente, il motivo del dissidio risiede nella richiesta formulata dai La Barbera e che richiamava al rispetto di una vecchia regola di "Cosa Nostra" secondo cui un "capo mandamento" non doveva essere anche "capo-famiglia". Tale consuetudine, se applicata, avrebbe avuto come primo effetto la destituzione di alcuni vecchi edTommaso Buscetta autorevoli capi famiglia in seno alla "Commissione", invisi ai due giovani e rampati capimafia: a partire da Antonino Matranga (capo famiglia di Resuttana), Mariano Troia (capo famiglia di San Lorenzo), Calcedonio Di Pisa (capo famiglia della Noce), Salvatore Manno (capo famiglia di Boccadifalco) e Michele Cavataio (capo famiglia dell'Acquasanta).
La richiesta dei La Barbera, tuttavia, sembrava essere giunta a buon fine. Cesare Manzella, ad esempio, aveva deciso di cedere la carica di capo famiglia di Cinisi a Gaetano Badalamenti; ma proprio in quei giorni - dicembre 1962 - veniva assassinato Calcedonio Di Pisa.
La responsabilità' dell'omicidio - benché ne fossero autori gli uomini di Michele Cavataio - veniva subito addossata ai La Barbera ed a Gaetano Filippone (nipote del "capofamiglia di Porta Nuova) sfruttando, quale presunto movente dell'omicidio, una questione d'onore che aveva contrapposto il Di Pisa (capo della Noce) alla famiglia di Porta Nuova (Filippone e La Barbera).
Passata la tesi che l'omicidio fosse stato compiuto su ordine delle famiglie di Vincenzo RimiPorta Nuova e Palermo Centro, in "Commissione" veniva decisa l'eliminazione dei due fratelli, nei cui confronti si scatenava una feroce caccia all'uomo, che in un breve arco di tempo li avrebbe visti soccombenti, unitamente a numerosi componenti dei loro 'gruppi di fuoco'. Approfittando della situazione, il Cavataio metteva frattanto a segno ulteriori attentati ai danni di elementi di spicco di "Cosa Nostra", con l'obiettivo di ampliare la sua area di influenza e facendo in modo che anch'essi venissero attribuiti ai La Barbera e ai loro uomini.
La sanguinosa scia di sangue culmina nella cosiddetta "strage di Ciaculli" (30 giugno 1963), quando nell'esplosione di un'auto-bomba collocata a poca distanza dall'abitazione di un parente di Salvatore Greco '"Cicchiteddu", muoiono sette tra carabinieri e militari chiamati a disinnescare l'ordigno.
L'eccidio richiama improvvisamente l'attenzione dell'opinione pubblica e il Parlamento - fino ad allora assolutamente insensibile al tema - non può fare a meno di intervenire, istituendo la prima Commissione parlamentare d'inchiesta della storia repubblicana.
Salvatore La Barbera era già stato soppresso col metodo della "lupara bianca" nei primi mesi del gennaio 1963. Il fratello Angelo viene arrestato a Milano il 24.5.63. Numerosi sono - in quelle settimane - gli arresti e le denunce. Alla fine del '63 anche Salvatore Greco "Cicchiteddu" ripara negli U.S.A.. Cosa Nostra si inabissa lentamente in un silenzioso periodo di attesa, all'insegna dell'antico detto siciliano "Calati juncu ca passa la china" ("Calati giungo, fino a che passa la piena del fiume"); all'interno dell'organizzazione viene creato un organismo provvisorio, definito "triumvirato", col compito di gestire la difficile fase di transizione e di riorganizzazione delle strutture intaccate dalla repressione delle forze di polizia, di cui fanno parte Stefano Bontate, Salvatore Riina e Gaetano Badalamenti. Frattanto, il "doppio gioco" di Michele Cavataio viene scoperto; verrà assassinato qualche anno più tardi, nella cosiddetta 'strage di viale Lazio', alla quale segue il riassetto dei mandamenti e delle famiglie mafiose della provincia di Palermo.