Un'analisi organica dei rapporti fra massoneria deviata e
cosche mafiose è contenuta nella relazione della Commissione parlamentare antimafia
presieduta da Luciano Violante.
"Il terreno fondamentale sul quale si costituiscono e si rafforzano i rapporti di
Cosa nostra con esponenti dei pubblici poteri e delle professioni private è rappresentato
dalle logge massoniche. Il vincolo della solidarietà massonica serve a stabilire rapporti
organici e continuativi". Questo il punto di partenza dell'analisi proposta.
"L'ingresso nelle logge di esponenti di Cosa nostra, anche di alto livello, non è un
fatto episodico ed occasionale ma corrisponde ad una scelta strategica - spiega la
Commissione antimafia - Il giuramento di fedeltà a Cosa nostra resta l'impegno centrale
al quale gli uomini d'onore sono prioritariamente tenuti. Ma le affiliazioni massoniche
offrono all'organizzazione mafiosa uno strumento formidabile per estendere il proprio
potere, per ottenere favori e privilegi in ogni campo; sia per conclusione di grandi
affari sia per "l'aggiustamento" dei processi, come hanno rivelato numerosi
collaboratori di giustizia. Tanto più che gli uomini d'onore nascondono l'identità dei
"fratelli" massonici ma questi ultimi possono anche non conoscere la qualità di
mafioso del nuovo entrato" (punto 57 della citata Relazione).
Rapporti fra Cosa nostra e massoneria sono comunque emersi anche nell'ambito dei lavori di
altre due Commissioni parlamentari d'inchiesta: quella sul caso Sindona e quella sulla
loggia massonica P2, che già avevano approfondito la vicenda del finto rapimento del
finanziere e della sua permanenza in Sicilia dal 10 agosto al 10 ottobre 1979. Agli atti,
le indagini della magistratura milanese e di quella palermitana, che avevano svelato i
collegamenti di Sindona con esponenti mafiosi e con appartenenti alla massoneria. Il
finanziere era stato aiutato da Giacomo Vitale, cognato di Stefano Bontade, capomafia
della famiglia palermitana di Santa Maria di Gesù e da Joseph Miceli Crimi: entrambi
aderenti ad una comunione di Piazza del Gesù, "Camea" (Centro attività
massoniche esoteriche accettate).
Nel gennaio 1986 la magistratura palermitana dispone una perquisizione e un sequestro
presso la sede palermitana del Centro sociologico italiano, in via Roma 391. Vengono
sequestrati gli elenchi degli iscritti alle logge siciliane della Gran Loggia d'Italia di
Piazza del Gesù. Fra gli iscritti figurano i nomi dei mafiosi Salvatore Greco e Giacomo
Vitale.
Nel mese di gennaio dello stesso anno, la magistratura trapanese dispone il sequestro di
molti documenti presso la sede del locale Centro studi Scontrino. Il centro, presieduto da
Giovanni Grimaudo, era anche la sede di sei logge massoniche: Iside, Iside 2, Osiride,
Ciullo d'Alcamo, Cafiero, Hiram. L'esistenza di un'altra loggia segreta trova poi una
prima conferma nell'agenda sequestrata a Grimaudo, dove era contenuto un elenco di
nominativi annotati sotto la dicitura "loggia C". Tra questi, quello di Natale
L'Ala, capomafia di Campobello di Mazara.
Nella loggia Ciullo d'Alcamo risultano essere affiliati: Pietro Fundarò, che operava in
stretti rapporti con il boss Natale Rimi; Giovanni Pioggia, della famiglia mafiosa di
Alcamo; Mariano Asaro.
Nel processo, vari testimoni hanno concordato nel sostenere l'appartenenza alla massoneria
di Mariano Agate, capomafia di Mazara del Vallo.
Alle sei logge trapanesi e alla loggia "C" erano affiliati imprenditori,
banchieri, commercialisti, amministratori pubblici, pubblici dipendenti, uomini politici
(la Commissione antimafia, nella citata relazione, ricorda come l'onorevole democristiano
Canino, nell'estate del '98 arrestato per collusioni con Cosa nostra, abbia ammesso
l'appartenenza a quella loggia, pur non figurando il suo nome negli elenchi sequestrati).
Già nel processo di Trapani e poi successivamente in quello celebrato nel '95 a Palermo
contro Giuseppe Mandalari (accusato di essere il commercialista del capo della mafia,
Totò Riina) sono emersi contatti fra le consorterie mafiose e massoniche di Palermo e
Trapani. Mandalari, "Gran maestro dell'Ordine e Gran sovrano del rito scozzese antico
e accettato" avrebbe concesso il riconocimento "ufficiale" alle logge
trapanesi che facevano capo a Grimaudo.
Le indagini sui rapporti mafia-massoneria continuano. Seppur fra tante difficoltà.
L'unica condanna al riguardo, ottenuta dai pm palermitani Maurizio De Lucia e Nino Napoli,
riguarda proprio Pino Mandalari, il commercialista di Riina attivo gran maestro. Solo nel
febbraio del 2002, è stata sancita in una sentenza la pesante influenza dei
"fratelli" delle logge sui giudici popolari di un processo di mafia: la Corte
d'assise stava seguendo il caso dell'avvocato palermitano Gaetano Zarcone, accusato di
avere introdotto in carcere la fiala di veleno che doveva uccidere il padrino della
vecchia mafia Gerlando Alberti. Non è stata facile la ricostruzione del pm Salvatore De
Luca e del gip Mirella Agliastro, che poi ha emesso sette condanne: non c'erano mai
minacce esplicite, solo garbati consigli a un "atteggiamento umanitario". Questo
il volto delle intimidazioni tante volte denunciate.
Il caso più inquietante di cui si sono occupate le indagini è quello di una misteriosa
fratellanza, la Loggia dei Trecento, anche detta Loggia dei Normanni. Il pentito Angelo
Siino ha fugato ogni dubbio: il divieto per gli aderenti a Cosa nostra di fare parte della
massoneria restò sempre sulla carta. "Le regole erano un po' elastiche - spiega -
come la regola che non si devono avere relazioni extraconiugali". Erano soprattutto i
boss della vecchia mafia, Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo, ad avere intuito
l'utilità di aderire alle logge.
Rosario Spatola seppe da Federico e Saro Caro che Bontade "stava cercando di
modernizzare Cosa nostra. Vedeva più in là, vedeva la potenza della massoneria, e magari
riteneva di potere usare Cosa nostra in subordine, come una sorta di manovalanza".
Per questo aveva creato una sua loggia. Era appunto la Loggia dei Trecento. Anche Siino
riferisce di "averne sentito parlare: si diceva che ne facevano parte parecchi
personaggi quali i cugini Salvo, Totò Greco "il senatore" e uomini delle
istituzioni. La loggia non era ufficiale e non aderiva a nessuna delle due confessioni,
né a quella di Piazza del Gesù né a quella di Palazzo Giustiniani".
Correvano a Palermo i ruggenti anni Settanta. Il pentito Spatola conferma il ruolo di
Bontade come gran maestro della Loggia dei Trecento. E spiega: "Ne facevano parte
soggetti appartenenti alle categorie più disparate, e per questo era molto potente. E
troppa potenza si era creata anche attorno a Stefano Bontade, per questo andava eliminato
lui ma anche la loggia".
Il 23 aprile 1981, Bontade fu ucciso dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Ha svelato Spatola che fu proprio Provenzano, attuale capo dell'organizzazione mafiosa, a
prendere l'iniziativa di sciogliere la Loggia dei Trecento. Particolare davvero inedito e
curioso. Quale autorità aveva mai don Bernardo per intervenire d'autorità su una
fratellanza tanto riservata? Forse era massone anche lui? Forse, già allora, aveva ben
presenti rapporti e complicità eccellenti che da lì a poco avrebbero fatto a gara per
riposizionarsi e ingraziarsi i nuovi potenti?
Salvo
Palazzolo
LE RIVELAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA
Tommaso Buscetta
Nel 1984 parla per la prima volta del rapporto fra mafia e massoneria nel contesto del
tentativo golpista di Junio Valerio Borghese del dicembre 1970.
Il collegamento tra Cosa nostra e gli ambienti che avevano progettato il colpo era stato
stabilito attraverso il fratello massone di Carlo Morana, uomo d'onore.
La contropartita offerta a Cosa nostra consisteva nella revisione di alcuni processi.
Leonardo Messina
Sostiene che il vertice di Cosa nostra sia affiliato alla massoneria: Totò Riina, Michele
Greco, Francesco Madonia, Stefano Bontade, Mariano Agate, Angelo Siino (oggi collaboratore
di giustizia pure lui). Ritiene che spetti alla Commissione provinciale di Cosa nostra
decidere l'ingresso in massoneria di un certo numero di rappresentanti per ciascuna
famiglia.
Gaspare Mutolo
Conferma che alcuni uomini d'onore possono essere stati autorizzati ad entrare in
massoneria per "avere strade aperte ad un certo livello" e per ottenere
informazioni preziose ma esclude che la massoneria possa essere informata delle vicende
interne di Cosa nostra. Gli risulta che iscritti alla massoneria sono stati utilizzati per
"aggiustare" processi attraverso contatti con giudici massoni.
Le conclusioni della Commissione antimafia presieduta da Luciano Violante:
"Il complesso delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia appare essere
concordante su tre punti:
- intorno agli anni 1977-1979 la massoneria chiese alla commissione di Cosa nostra di
consentire l'affiliazione di rappresentanti delle varie famiglie mafiose; non tutti i
membri della commissione accolsero positivamente l'offerta; malgrado ciò alcuni di loro
ed altri uomini d'onore di spicco decisero per motivi di convenienza di optare per la
doppia appartenenza, ferma restando la indiscussa fedeltà ed esclusiva dipendenza da Cosa
nostra;
- nell'ambito di alcuni episodi che hanno segnato la strategia della tensione nel nostro
paese, vale a dire i tentativi eversivi del 1970 e del 1974, esponenti della massoneria
chiesero la collaborazione della mafia;
- all'interno di Cosa nostra era diffuso il convincimento che l'adesione alla massoneria
potesse risultare utile per stabilire contatti con persone appartenenti ai più svariati
ambienti che potevano favorire gli uomini d'onore".
(S.P.) |