Per tanti anni Corleone è stata conosciuta in tutto il mondo
come capitale della mafia. Una fama poco invidiabile, regalata al
paese - dagli anni 50 in poi - dalle gesta criminali di boss mafiosi del calibro di
Michele Navarra, Luciano Leggio, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano e da politici
mafiosi come Vito Ciancimino.
Sono stati
loro, con laiuto di gregari e complici, a trasformare una comunità ricca di
civiltà millenaria in quella Tombstone (pietra tombale), che ha ispirato film
di successo (Il Padrino di Mario Puzo) e un'intero filone letterario.
I corleonesi hanno assistito per anni impotenti, impauriti, da muti spettatori alla lunga
sequenza di morti ammazzati, imparando a cucire la bocca davanti alle telecamere e ai
taccuini dei giornalisti.
Eppure, fino al primissimo dopoguerra, Corleone e il suo circondario era stata capitale
del movimento contadino, punto di riferimento per migliaia di senza-terra e senza-lavoro,
che nelle cooperative, nel sindacato e nei partiti di sinistra vedevano gli strumenti del
loro riscatto.
A Corleone, infatti, nel 1892 nasce uno dei più forti e combattivi Fasci dei lavoratori,
guidato dal Bernardino Verro, che nel giugno del 1914 sarebbe stato il primo sindaco
socialista della città e, poco più di un anno dopo, uno dei primi caduti (insieme a
Luciano Nicoletti ed Andrea Orlando) nella lotta contro la mafia.
E' in questa piccola cittadina dell'entroterra palermitano che il 31 luglio 1893 vengono
approvati i Patti di Corleone, che rappresentano il primo contratto sindacale
scritto dellItalia capitalistica.
E' ancora Corleone, nel 1919-20, a dare un notevole contributo di lotte al biennio
rosso contadino, nellambito delle quali cadono per mano mafiosa
lassessore socialista corleonese Giovanni Zangara, il capolega di Prizzi Giuseppe
Rumore e il dirigente contadino Nicolò Alongi.
E poi ancora, dopo il ventennio fascista, di fronte alla risorta mafia rurale, che con i
suoi campieri torna a controllare tutti i principali feudi corleonesi, è Placido
Rizzotto, segretario della Camera del lavoro, reduce dalla lotta partigiana in Carnia, nel
Veneto, a riorganizzare le masse contadine per dare lassalto al latifondo.
Anche Rizzotto, il 10 marzo 1948, viene assassinato dai killer feroci di Michele Navarra e
Luciano Leggio. E, tuttavia, le lotte non si fermano, e dalle campagne del corleonese il
movimento contadino contribuisce a strappare la riforma agraria, assestando un duro colpo
ai residui di feudalesimo siciliano.
Ma la divisione delle terre da sola non serve e non basta. Così, in quegli anni, le
scelte di politica economica dei governi nazionali a sostegno
dellindustrializzazione del Nord, costringono migliaia di contadini poveri a fare la
valigia ed emigrare nel triangolo industriale del Nord-Italia e allestero.
Tra il finire degli anni 50 e i primi anni 60, sono circa seimila i corleonesi
che affrontano un viaggio della speranza.
Il
paese viene privato delle sue forze più combattive e rimane preda delle
guerre tra opposte fazioni mafiose, liggiani e
navarriani. Una guerra senza quartiere, che inizia il 2 agosto
1958 con lassassinio del capomafia Michele Navarra, crivellato da oltre 100 colpi di
mitra da Luciano Liggio e dai suoi luogotenenti (tra cui i giovani Salvatore Riina,
Bernardo Provenzano, Calogero e Leoluca Bagarella), mentre si trovava in macchina, lungo
la strada statale 118, nel tratto Corleone-Prizzi.
Seguono altri scontri tra le due cosche rivali, tante misteriose scomparse (le cosiddette
lupare bianche), fino allo sterminio totale dei navarriani.
Bonificate le retrovie, i viddani di Corleone sbarcano a Palermo,
dove trovano ad attenderli un altro corleonese, Vito Ciancimino, assessore ai lavori
pubblici nella giunta del sindaco Salvo Lima e protagonista del sacco di
Palermo degli anni Sessanta.
Arrivano gli anni Ottanta e si apre la graduale scalata dei 'corleonesi' ai vertici di
Cosa Nostra, mentre i notabili democristiani di Corleone volevano convincere la gente che
la mafia era ormai un residuo del passato. Insomma, roba da museo.
Ma i figli e i nipoti dei contadini del secondo dopoguerra, dapprima confusamente, poi
sempre più chiaramente, cominciano a capire che Corleone non è una repubblica
indipendente, cominciano a capire che non tutti possono essere gregari di
Liggio.
Lo capiscono, lo scrivono su volantini e tazebao, ne fanno argomento di pedagogia sociale.
Nascono i primi giornali locali (nel 1974 Il giornale del corleonese, nel 1989
Città Nuove), che provano a sostituire la sottocultura dellomertà con
la cultura della parola, che riscoprono le radici contadine della comunità e la memoria
storica della lotta contro la mafia di Verro e Rizzotto.
E' un modo per superare la vergogna di essere corleonesi e di ritrovare
lorgoglio di una cittadinanza che si ispira a unantimafia sconosciuta, antica
quanto la mafia.
Dopo le stragi di Capaci e di via DAmelio, la rivolta morale si fa politica e, nel
1993, i corleonesi onesti riescono a cacciare dal palazzo municipale i boss mafiosi e i
politici che li hanno coperti anche solo con il loro silenzio, eleggendo sindaco il
giovane segretario del Pds, Pippo Cipriani.
E' la primavera di Corleone, la stagione della nuova speranza, alimentate dal
sostegno delle istituzioni e di associazioni nazionali come lArci e Libera,
culminate nelle visite a Corleone dei presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (21
marzo 1999) e Carlo Azeglio Ciampi (12 dicembre 2000).
Grazie a questi nuovi processi - ancora in atto, difficili da governare ma che andranno
certamente avanti anche nei prossimi anni - Corleone resta ancora un paese-simbolo della
mafia, ma è divenuto anche un paese-simbolo dellantimafia.
Dino Paternostro |